UN PIANETA SENZA FUTURO? O piuttosto un futuro senza pianeta?
Avevo scritto questo articolo in forma diversa, più estesa e con una serie di dettagli e considerazioni tutto sommato superflue. Dopo averlo riletto varie volte ho deciso di ridurlo ad una serie di punti chiave che, nel caso, andrò a approfondire singolarmente. Quello che leggerete qui di seguito è, comunque, ciò che penso io dell’argomento e potrebbe non corrispondere, necessariamente, alla realtà dei fatti. Invito quanti fossero di tutt’altra idea, a controbattere civilmente, spiegando il loro punto di vista e le loro motivazioni. Io ho le mie e cercherò di riportarle qui di seguito nel migliore dei modi possibili.
Il 2022 è appena iniziato e la popolazione mondiale ha raggiunto la soglia degli 8 miliardi di individui. Pensare che solo 220 anni fa eravamo meno del 10% degli individui attualmente presenti su questo pianeta, fa venire i brividi. Vederlo graficamente fa tutt’altro effetto… ovviamente in modo più preoccupante in quanto ci fornisce un’indicazione di ciò che potrebbe, teoricamente, accadere nei prossimi decenni. Sono proiezioni sulla base di ciò che conosciamo e finché non avremo vissuto il futuro da diversi decenni, non potremo sapere se tali proiezioni saranno risultate corrette. Da qui al 2100 potrà accadere di tutto, di più o anche di meno!
Cos’è che ha portato la popolazione mondiale a crescere in modo così veloce in così poco tempo, è una sostanza oleosa, maleodorante, di colore nero, presente in modo non uniforme un po’ ovunque nel sottosuolo del nostro pianeta. È una risorsa nota sin dall’antichità, ma che abbiamo iniziato ad usare solo qualche secolo fa e che, dal 1850 circa in poi, è diventata la risorsa di gran lunga più importante ed usata dalla razza umana, presente (direttamente o indirettamente) in tutti i processi produttivi di qualsiasi bene o prodotto realizzato nel mondo: il Petrolio.
Di petrolio ne abbiamo diversi tipi, a seconda della quantità di zolfo in esso contenuto, e ne abbiamo una quantità teorica sufficiente, agli attuali (cioè del 2018) tassi di consumo giornaliero, per diversi secoli. Purtroppo tra la teoria e la pratica c’è di mezzo la difficoltà di estrazione ed il relativo costo, in termini energetici, che esso comporta: spendere più di 1 barile equivalente di petrolio per estrarne 1 o anche meno, risulta evidentemente non conveniente.
Il risultato è che, nella pratica, la quantità di petrolio che avremo a disposizione nei prossimi anni, potrebbe dimezzarsi, rispetto al picco produttivo del 2018. E questo potrebbe avvenire già entro i prossimi 5-10 anni.
Considerando che il petrolio viene usato in tutti i processi produttivi, ne consegue che, come minimo, quando avremo una disponibilità reale di petrolio dimezzata, subiranno un crollo analogo anche nella disponibilità di risorse minerarie, beni primari e prodotti più o meno utili. Forse si potrà attutire il crollo con un forte investimento in ricerca e sviluppo, ma nel frattempo avremo enormi problemi che potrebbero comportare una profonda instabilità a livello geopolitico, sociale, economico e industriale. Instabilità che già oggi appare molto più che evidente.
Man mano che le risorse tenderanno ad esaurirsi, quindi, assisteremo all’inevitabile aumento della belligeranza, tipica di chi è costretto a gestire una risorsa scarsa. A meno che, ovviamente, non si accetti l’idea di far parte tutti di un unico stato, sotto un solo padrone, senza alcuna possibilità di scelta, senza alcun individualismo, come fossimo tutti schiavi, quasi dei robot privi di personalità, privati delle più elementari libertà personali, sia fisiche che mentali. Una civiltà nella quale ogni essere umano avrà diritto ad una certa quantità di beni e servizi. Non uno di più.
In un contesto come questo, le possibilità di evoluzione per la civiltà umana vengono meno. Un essere vivente si evolve e sviluppa l’intelligenza quando si trova davanti a sempre nuove sfide, non quando la sua esistenza risulta essere totalmente piatta. Si diverrebbe morti dentro. Si diventerebbe degli zombie!
L’apparente problema alla base delle crisi presenti e furure, quindi, oltre ad essere di natura etico-morale, ovvero la voglia di qualcuno di sottomettere tutto e tutti, sarebbe puramente materiale, dovuta cioè alla scarsità di risorse e alle relative conseguenze sulla Civiltà Umana.
Che ci sia un problema di inquinamento è palese. Che un problema di approvvigionamento delle risorse energetiche e minerarie possa comportare l’impossibilità a produrre nuove tecnologie non è così conosciuto, ma esiste. Basti pensare che per estrarre 1 tonnellata di “terre rare”, indispensabili per la microelettronica e le tecnologie avanzate, vengono prodotte fino a 2000 tonnellate di rifiuti tossici. Insostenibile già di per se, diventerebbe impossibile anche solo per la necessità di scavare la roccia senza far uso dell’energia fossile (mezzi meccanici economici ed efficienti). E questo diventerebbe un enorme problema!
«La terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in una culla.»
(Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij – Russia: 1857-1935)
Il contesto nel quale ci siamo evoluti è un pianeta roccioso con dimensioni fisiche finite, con caratteristiche ben precise che hanno modellato il nostro corpo, la nostra evoluzione e il nostro stile di vita. Un pianeta che per noi sembra ideale, ma lo è solo perché è qui che ci siamo evoluti e questo è il nostro unico riferimento noto per una razza evoluta come la nostra, anzi, è l’unico riferimento certo che abbiamo. Se ci fossimo evoluti su Marte, quando Marte era un pianeta ricco di atmosfera, fiumi, laghi, alberi e quant’altro, sempre che ne abbia avuti ovviamente, avremmo affermato che quello era il nostro pianeta ideale, con la sua gravità di 3.721 m/s2 e che la Terra, con una gravità di 9.81 m/s2, sarebbe stata per noi un pianeta sul quale sarebbe stato troppo difficile e “pesante” vivere. Ovviamente il nostro corpo si sarebbe adattato alle caratteristiche di Marte e forse sarebbe stato diverso nell’aspetto generale. Ad ogni modo siamo qui, davanti ad una scelta, consapevoli che dobbiamo trovare una soluzione quanto più definitiva possibile ad un problema potenzialmente epocale. E colonizzare lo spazio è, secondo il sottoscritto, l’unica scelta veramente definitiva.
Lo sanno bene gli scienziati che studiano le colture batteriche.
Leggiamo dal sito web microbiologiaitalia.it :
- Fase di latenza: nella fase lag non c’è un aumento del numero di cellule. Si tratta infatti di una “fase di adattamento” dove si potrebbe eventualmente apprezzare un lieve aumento volumetrico cellulare. In questo periodo, più o meno breve a seconda delle condizioni e talvolta anche assente, solitamente si osserva sintesi di nuovi enzimi e nuove componenti strutturali cellulari;
- Fase esponenziale: nella fase log i microrganismi crescono e si dividono alla massima velocità possibile relativamente al loro potenziale genetico, alle condizioni di crescita e alla natura del terreno in cui sono stati inseriti;
- Fase stazionaria: nella fase di plateau il numero totale di cellule vitali rimane costante. Sono diversi i motivi per cui si arriva a questa fase, primo tra tutti l’esaurimento dei nutrienti (e di ossigeno libero se si fa riferimento alle specie aerobie) presenti nel terreno. Inoltre potrebbe avvenire un accumulo di cataboliti giungendo, infine, ad un’elevata densità cellulare;
- Fase di declino: a volte definita anche come fase di morte, è caratterizzata da una diminuzione del numero di cellule vive nel tempo. Durante questo periodo, si verifica lisi cellulare (anche se alcune rimangono integre a lungo anche dopo la morte) e perdita irreversibile della capacità di riprodursi;
Fortunatamente non siamo dei batteri. Abbiamo la capacità di creare e trasformare il territorio, oltre che muoverci, con sempre maggior sicurezza, fuori dal nostro ambiente ideale (ecosistema terrestre). Il nostro limite sembra essere solo “motivazionale”. Cioè… facciamo fatica a comprendere il perché dovremmo muoverci dal pianeta Terra, nel quale per ora viviamo relativamente bene, e imparare a vivere in un ambiente, lo Spazio, nel quale è difficile e pericoloso vivere e prosperare.
Le motivazioni le possiamo osservare, come detto, nel grafico sopra.
La fase di latenza è terminata, per la nostra civiltà, intorno al 1800 circa, decennio più… decennio meno… quando dopo molti millenni di lentissima evoluzione, abbiamo sviluppato la capacità di sfruttare il petrolio come fonte di energia economica e abbondante.
Da quel momento è iniziata la fase esponenziale, che nonostante tutto quel che abbiamo combinato, continua tutt’ora. Purtroppo sappiamo che il petrolio si sta esaurendo, pertanto questa fase terminerà entro al massimo qualche decennio.
Seguirà la fase stazionaria che potrà durare da qualche anno a, se siamo particolarmente fortunati, qualche decennio.
Infine la razza umana vivrà la fase di declino, e sarà la fine. Una fine molto veloce!
Molti consigliano di investire sul pianeta, sul rendere le attività industriali meno inquinanti, sull’imparare a riutilizzare e riciclare qualsiasi prodotto. Ma servirà effettivamente a qualcosa?
Secondo il mio punto di vista no… non è sufficiente perché siamo troppi, perché siamo andati troppo “avanti” nel consumo di fonti fossili e perché, nonostante tutto, ci sono prodotti complessi che non possono essere riciclati (come i semiconduttori), e comunque riciclare comporta quasi sempre un consumo di energia (e non solo) molto maggiore. Le risorse, quindi, andranno ad esaurirsi e costeranno sempre di più. Indipendentemente dal numero di abitanti presenti sul pianeta e dalla volontà di questi ultimi di riciclare quanto più possibile.
Allo stato attuale dell’evoluzione umana, non dobbiamo accontentarci di guadagnare qualche anno in più per le generazioni future. Dobbiamo pretendere che tali generazioni non incorrano nel problema della dipendenza da un’unica fonte di energia e soprattutto che non abbiamo problemi nel reperire le risorse minerarie di cui avranno bisogno per lo sviluppo delle tecnologie avanzate.
Colonizzare lo spazio non sarà una passeggiata, ma va fatto. Prima o poi. E penso sinceramente che è meglio prima… che poi!
Anche un viaggio in nave verso le “Indie”, nella seconda metà del 1400, percorrendo una rotta più breve verso ovest, non era una passeggiata. Non lo è stato per altri 500 anni da allora, eppure vennero intraprese una marea di spedizioni dal vecchio al nuovo continente, in cerca di prodotti, terre coltivabili e risorse di ogni tipo che in Europa scarseggiavano a causa della persistente carestia dovuto al raffreddamento del clima, ai conflitti e al lento ma costante aumento della popolazione. Se ci fossimo arresi alla prima difficoltà non saremmo arrivati a questo stadio evolutivo. E quasi certamente, ci saremmo massacrati in sanguinose guerre per accaparrarci fino all’ultimo ettaro di terra, fino all’ultimo albero, fino all’ultimo pesce che si sarebbe potuto pescare nei dintorni della nostra cara e vecchia Europa.
Certo, già all’epoca c’erano fiorenti commerci con l’estremo oriente, ma richiedevano tanti mesi di navigazione e le difficoltà erano in ogni onda, scoglio o evento temporalesco che si incontrava lungo il percorso. La vera svolta arrivò, per gli stati europei, con la colonizzazione delle Americhe.
Oggi abbiamo il dovere di fare altrettanto con lo spazio: Luna, Marte, gli asteroidi NEO (Near Earth Objects) e la Fascia degli Asteroidi, sono già alla portata delle nostre tecnologie. E sono molte le aziende che vi stanno attivamente lavorando.
Ma andiamo con ordine.
La Civiltà Umana Moderna ha bisogno essenzialmente di 2 tipi di risorse per vivere sul nostro pianeta:
1) energia: necessaria per il riscaldamento, il trasporto e l’azionamento di macchinari industriali e non;
2) risorse minerarie: necessarie per il fabbisogno primario (cibo, acqua, ecc…) o per la realizzazione di prodotti artigianali e industriali di uso più o meno comune.
Per ottenere energia vi sono diversi modi… il più efficiente dei quali sembrerebbe la Fusione Nucleare. Un reattore a fusione nucleare, il cui sviluppo sta avvenendo in molti paesi del mondo con risultati molto promettenti, garantirebbe la produzione sia di energia elettrica, che di calore.
In teoria ne potremmo fare a meno, a patto di investire una quantità esagerata di soldi e risorse minerarie, con le tecnologie rinnovabili già disponibili… quali il fotovoltaico e l’eolico, ma anche l’idroelettrico e la combustione di biomasse. Un mix di tutte queste risorse potrebbe risolvere il problema a qualche stato, ma non a tutti; per qualche decennio, ma non per sempre. Il fotovoltaico e l’eolico sono energie altamente discontinue che non possono far fronte alle esigenze di una società avanzata e industrializzata come quella occidentale. Per realizzarle, inoltre, sono necessarie le “terre rare” e la loro estrazione, come detto in precedenza, comporta un elevatissimo inquinamento del territorio. Infine, avendo un’efficienza relativamente bassa, sarebbe necessario aumentare a dismisura la creazione di centrali facenti uso di queste tecnologie, per compensare le mancate produzioni stagionali, piuttosto che le richieste emergenziali.
Già oggi per produrre la stessa quantità di energia prodotta con fonti fossili, con le energie rinnovabili (fotovoltaico e/o eolico), viene estratta e lavorata una quantità 10 volte maggiore di roccia (per estrarre le risorse minerarie necessarie).
Per ottenere risorse minerarie, fino ad oggi sono state scavate una quantità di tonnellate di roccia che è pressoché impossibile da quantificare. I risultati sono centinaia di miniere di tutti i tipi, le più ecologicamente devastanti delle quali sono le “miniere a cielo aperto”, la più profonda delle quali è Udachnaya Diamond Mine, un buco di 1600×2000 metri, profondo circa 640 metri e situata in Russia.
Certo, in un futuro tecnologicamente avanzato, una struttura del genere la si potrà coprire con una cupola e trasformarla in una grande città, un po’ come è stato fatto in Cina con una cava abbandonata, nella quale stanno realizzando un hotel di lusso.
Nello spazio tutta questa devastazione non ci sarebbe.
L’inquinamento riguarda solo l’habitat nel quale si vive. Ciò che faremo all’esterno, se non avrà un impatto diretto o indiretto, anche solo potenziale o futuro, con la nostra civiltà, non verrà considerato inquinamento. Ovvio che questo discorso non riguarda il problema, enorme, dei detriti spaziali in orbita terrestre. Quello è un problema che andrà affrontato e risolto quanto prima. Un problema al quale, in realtà, si sta già lavorando proprio in occasione della nuova corsa allo spazio. Questo non significa che saremo liberi di creare discariche di rifiuti tossici sulla Luna o di “abbandonare” satelliti e strutture dismesse nello spazio oltre l’atmosfera terrestre. Semplicemente abbiamo un minimo di libertà (teorica) in più per poter operare.
Sulla Terra aprire una nuova miniera a cielo aperto o realizzare un impianto fotovoltaico, significa in entrambi i casi sottrarre terreni potenzialmente coltivabili all’agricoltura. E questo sarebbe un danno diretto alla nostra civiltà. Nel caso dello sfruttamento minerario di un asteroide NEO, invece, sarebbe un duplice vantaggio: da un lato otterremmo risorse minerarie, dall’altro neutralizzeremmo un potenziale pericolo.
Anche se negli ultimi secoli siamo stati particolarmente fortunati, non è raro e non è nemmeno da escludere che si possano verificare impatti con oggetti cosmici (meteoriti o comete). Uno degli ultimi eventi mediaticamente conosciuti si è verificato il 15 febbraio 2013 a Čeljabinsk, in Russia, quando un oggetto di circa 15 metri di diametro e con una massa di10.000 tonnellate, è esploso in aria provocando 1491 feriti e oltre 7000 edifici danneggiati o distrutti.
Ma in passato, in un remoto passato, di danni al territorio ne sono stati fatti di enormi.
E non è affatto un rischio solo teorico. Sempre più spesso si apprende del passaggio ravvicinato di oggetti cosmici, alcuni delle dimensioni di qualche metro, altri decisamente più grandi… come per il recente passaggio di (7482) 1994 PC1 di 1.1 chilometri di diametro, verificatosi a gennaio 2022.
Ma se la maggior parte di quelli noti passerà ben lontano dal nostro pianeta, non si può dire altrimenti dell’asteroide 99942 Apophis, che il 13 Aprile 2029, transiterà ad appena 30.000 km dalla superficie del nostro pianeta. Gli esperti ci rassicurano che non c’è nulla da temere… ma sapete… sono un tantino scettico. Tra l’altro, qualche anno fa, il Sistema Solare sembra sia entrato in una zona dello spazio galattico nel quale il rischio di impatto cosmico è di un 40% maggiore. E a giudicare dalla grande quantità di “proiettili” che giornalmente sfrecciano nei pressi della nostra “culla”, che dire se non semplicemente “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”?
Cosa ci guadagneremmo, come Civiltà Umana Moderna, con lo sfruttamento dello Spazio? E in quanto tempo?
Discorso lungo, complesso, che richiede l’inevitabile apertura mentale di chi guarda al futuro e non solo al presente. Meglio una gallina oggi o un uovo domani?
Ignoriamo per qualche minuto ciò che sta accadendo nel mondo, tra crisi sociali, economiche, industriali, religiose, sanitarie ed inevitabilmente geopolitiche, e immaginiamo di vivere in un contesto di relativo e costante benessere. Potremmo continuare così ancora per qualche decennio o anche, se ci dice bene, qualche secolo. In fin dei conti, perché cambiare, rischiare, usare le risorse minerarie ed energetiche che ci restano, per affrontare l’ignoto cosmico nel quale, tra l’altro, l’essere umano è e sarà sempre in costante pericolo?
Per fare la nostra scelta, attentamente ponderata e non di pancia, dobbiamo chiederci cosa vogliamo fare per il futuro, per le generazioni che sono appena venute al mondo e per quelle che verranno dopo di esse.
Quello che abbiamo oggi lo dobbiamo ai nostri avi. Nonni, bisnonni e tutte le generazioni prima di loro, hanno fatto scelte, sacrifici e lavorato sodo, per lasciarci qualcosa in più rispetto a ciò che avevano trovato e che a loro era stato lasciato. E noi non dovremmo smettere mai di ringraziarli per questo. Avrebbero potuto fregarsene anche solo di mettere al mondo un figlio, che comportava costi, rischi e problemi notevoli, ma non lo hanno fatto. Hanno voluto creare ognuno la propria famiglia, crescerla e dar loro un futuro migliore, sempre nel limite delle loro possibilità.
Oggi dovremmo fare lo stesso. Abbiamo un obbligo morale, verso chi ci ha preceduti in questa vita terrena, di affrontare l’ignoto e le frontiere dell’attuale civiltà, per dare al futuro dei nostri posteri, una condizione di vita quanto più sicura e prospera possibile.
E come abbiamo già visto in precedenza, restando confinati su questo pianeta, le prospettive future non saranno affatto rosee. La risorsa energetica fossile che ci ha traghettato dal periodo pre-industriale all’attuale, prima o poi cesserà di essere realmente disponibile. E a seguire, chi prima e chi dopo, verrà meno la disponibilità di tutte le altre risorse indispensabili al mantenimento in essere della nostra Civiltà. E questo riguarderà ovviamente anche il cibo, le medicine, l’acqua potabile e tutto quanto serve alla nostra quotidiana sussistenza.
È quindi imperativo prendere una decisione su cosa vogliamo fare, come Civiltà Umana Moderna, prima che la situazione diventi insostenibile.
Abbiamo tempo? “Si” se ci diamo da fare sin da ora, come stanno facendo alcune grandi aziende.
“No” se ognuno continua a fare di testa sua, remando spesso contro gli interessi dell’umana collettività o pensando solo al profitto immediato e non a ciò che esso comporta (vedere ad esempio il problema della proliferazione dei parchi eolici e fotovoltaici su terreni agricoli che comporta inevitabilmente una perdita di produttività alimentare). E non c’entra nulla l’indipendenza delle singole nazioni. Questo è un discorso generale che riguarda l’Umanità come Civiltà e non le singole nazioni!
I tempi per la colonizzazione dello spazio e il relativo sfruttamento minerario in loco, non sono brevi, almeno per com’è la concezione del tempo per la gente comune, specialmente di quella poco informata sulle tempistiche e complessità delle attività astronautiche. Potranno volerci alcuni decenni, ma è necessario avere ben chiare le cose da fare. Diciamo che il traguardo fondamentale del 2050 dovrebbe vederci già nella possibilità di vivere continuativamente per almeno 1 anno oltre l’orbita terrestre. Altrimenti rischiamo di non raggiungere gli altri obiettivi.
Le previsioni della SpaceX, ad esempio, ci indicano un potenziale viaggio in orbita marziana della prima astronave Starship, non prima del 2033 (periodo in cui la distanza Terra-Marte raggiungerà il valore minimo). La Nasa, nel mentre, sta lavorando (anche insieme alla stessa SpaceX), al programma Artemis, che riporterà l’essere umano sulla Luna, presumibilmente entro la fine dell’attuale decennio.
Altre società private americane (e non) stanno lavorando alla preparazione dei moduli delle loro stazioni spaziali commerciali, orbitanti attorno alla Terra in orbita bassa. Alla fine, se tutto andrà secondo i progetti, entro la metà del prossimo decennio dovremmo avere 4 o 5 stazioni spaziali contemporaneamente, tra pubbliche e private.
Al fronte occidentale (statunitense in primis) si contrappongono le mire espansionistiche della Russia e della Cina, con quest’ultima già attiva nell’assemblaggio in orbita di una propria stazione spaziale orbitante.
I programmi spaziali cinesi prevedono attività in orbita e sulla superficie della Luna e a seguire anche di Marte, senza escludere il loro reale obiettivo… che è quello di raggiungere per primi la Fascia degli Asteroidi. Sono partiti tardi rispetto alla concorrenza, ma viaggiano a tappe forzate, forti anche del know-how acquisito dalle numerose collaborazioni effettuate negli ultimi anni.
La Russia non ha progetti definiti, almeno per quanto ne sappiamo (anche perché economicamente al momento non può permetterselo), ma sta sviluppando un sistema propulsivo basato su motori elettromagnetici alimentati da un reattore nucleare. Questo permetterebbe di dimezzare i tempi di percorrenza orbita-orbita tra la Terra e Marte e aprirebbe la strada alla concreta possibilità di raggiungere la Fascia degli Asteroidi entro la metà di questo secolo.
La progettazione di una struttura per le attività spaziali (sia orbitante che planetaria), sia essa per uso abitativo, scientifico o industriale, oppure di un mezzo di trasporto spaziale, richiede un’attenta analisi di ogni potenziale problema che chi è chiamato ad operare in essa e su di essa dovrebbe affrontare. Nello spazio non vi è la possibilità pratica di ricevere parti di ricambio o attrezzatura particolari nel breve termine, a meno che non si è in orbita bassa terrestre (ma anche in questo caso le tempistiche non scendono quasi mai sotto la settimana o il mese di tempo), pertanto ogni cosa va assolutamente montata, smontata e riparata, con la sola attrezzatura di bordo, seguendo meticolosamente le complesse procedure di sicurezza necessarie ad evitare l’insorgere di ulteriori problemi. E come avrebbe detto un mio caro amico, il tutto va fatto “a prova di stupido”. In più la difficoltà nel dover effettuare una manutenzione straordinaria di un componente (magari essenziale), verrebbe effettuata da astronauti e non da tecnici o ingegneri specializzati. Qualsiasi componente, specialmente quelli “di vitale importanza” per l’operatività e il supporto vitale, va quindi progettato in modo da poterlo sostituire in modo facile, riparato all’occorrenza, tenendo conto anche del fatto che, data la distanza dal pianeta Terra e quindi il ritardo delle comunicazioni che aumentano all’aumentare della distanza con il centro di controllo missione, non è sempre possibile per gli astronauti ricevere assistenza e indicazioni specifiche in tempo reale. In più nello spazio bisognerà sempre tener conto della criticità del componente e dell’eventuale vulnerabilità che potrebbe avere durante le tempeste magnetiche solari. Un tema scottante, questo, perché potenzialmente devastante. È notizia di questi giorni della perdita, da parte della SpaceX, di 40 dei 49 satelliti facenti parte di un lancio effettuato con un Falcon9 e casualmente colpiti da una tempesta magnetica solare. Sfortuna, negligenze e forse incoscienza, hanno portato ad un danno di diversi milioni di dollari che, tutto sommato, non ha causato vittime… essendo satelliti per le telecomunicazioni del progetto Starlink. Ma se fosse accaduto ad un’astronave piena di astronauti, il discorso sarebbe stato molto diverso.
Gli astronauti hanno poi bisogno di ambienti confortevoli, ergonomici, con la giusta illuminazione e con proporzioni ben studiate. In assenza di gravità non vi è un “sotto” o un “sopra”, e questo per certi versi facilita un pochino le cose. Ma vi sono altri problemi, specialmente legati alle necessità fisiologiche, di cui tener conto, specialmente in assenza di gravità. Il cervello umano ha enormi capacità di adattamento, ma per una corretta salute psicologica dell’astronauta, è imperativo evitare ambienti malamente illuminati o claustrofobici. Le reazioni dei soggetti, specialmente quando si trovano in una condizione di perdurante stress psico-fisico, possono compromettere in modo irrimediabile l’intera missione, se non addirittura la sopravvivenza stessa degli astronauti e dell’intera struttura/astronave che li accoglie.
La lunga permanenza in assenza di gravità comporta poi problemi fisici potenzialmente invalidanti nel medio-lungo termine e questo va evitato. Le soluzioni al vaglio degli esperti sono diverse e alcune molto promettenti per la risoluzione di alcune malattie largamente diffuse nella popolazione.
“L’osso è un tessuto vivente che viene costantemente distrutto e riformato – ha scritto Samantha Cristoforetti nel suo diario di bordo sulla missione di 199 giorni, soprannominata Futura –. Le cellule chiamate osteoclasti distruggono l’osso, mentre altre cellule chiamate osteoblasti producono nuovo osso. Finché distruzione e produzione sono in equilibrio, tutto va bene, ma in assenza di gravità questo equilibrio è disturbato e gli osteoclasti vincono. Questo è anche ciò che accade quando le persone soffrono di osteoporosi, purtroppo un problema comune“.
(Fonte: https://www.ilgiorno.it/pavia/cronaca/osteoporosi-cure-1.5917410)
Si conoscono poi problemi cardiaci, muscolari, celebrali, alla vista e all’udito, e via discorrendo. Sicuramente vivere nello spazio in assenza di gravità, per periodi medio lunghi, non sarà una condizione salutare per gli astronauti e i futuri coloni. Ma in passato non era facile neanche vivere in alto mare, in una zona desertica o in qualunque altra situazione anomala.
Come coniugare tutto questo, quindi, con la necessità teorica di sfruttare lo spazio per estrarre risorse minerarie ed energetiche possibilmente entro la metà di questo secolo?
La soluzione potrebbe arrivare, inizialmente, dalla robotica e dalla telepresenza.
Lungi da me l’idea che nello spazio l’essere umano non debba andarci, anzi… tutt’altro!
Sono convinto che la razza Umana debba “tornare” a vivere nello spazio quanto prima, colonizzando pianeti e satelliti, costruendo stazioni, colonie e astronavi e attingendo direttamente dallo spazio le risorse di cui avrà bisogno per la sua sussistenza. Ma bisogna essere realisti e cercare con qualsiasi mezzo tecnologico, di raggiungere degli obiettivi concreti nel più breve tempo possibile.
Attendere, come consiglia qualcuno, che le tecnologie permettano viaggi spaziali interstellari in tempi decenti, è pura utopia. La razza Umana non ha tutto questo tempo a disposizione, deve darsi una mossa, altrimenti la Civiltà Umana Moderna collasserà su se stessa e prima di riavere le conoscenze necessarie per raggiungere lo spazio, passeranno diversi millenni!
Gli obiettivi da perseguire sono quindi essenzialmente 5:
- creare avamposti stabili sulla superficie della Luna e su Marte;
- mappare, studiare e catalogare i vari asteroidi presenti nei pressi del nostro pianeta, che sono più di 14400 tra grandi medi e piccoli, ed avviare l’attività estrattiva su alcuni di essi;
- creare strutture orbitanti scientifico-tecnologiche e industriali nelle quali processare i minerali raccolti in orbita;
- aumentare la capacità, la facilità, la velocità, la sicurezza/affidabilità e l’economicità dei trasporti superficie-orbita, orbita-orbita e orbita-superficie;
- aumentare l’abitabilità e le capacità operative delle strutture (colonie, laboratori e industrie) sia orbitali che planetarie.
Vi sarebbe un ultimo punto in questi obiettivi…
- creare una Cultura Spaziale (etica, morale, legale, economica, finanziaria, scientifica, religiosa, ecc…) nelle nuove generazioni, tale da rendere “normale” il considerare la vita dell’uomo nello spazio.
Ma ognuno di questi punti richiede tempo, tanto tempo, ma quanto?
Il punto 1, per come la vedo io questa “nuova corsa allo spazio”, potrà richiedere dai 15 ai 25 anni. Se fosse così avremmo avamposti stabili, permanentemente abitabili, sia sulla Luna che su Marte entro la seconda metà del prossimo decennio.
Scordiamoci l’idea che nello spazio opereranno solo agenzie governative. Per come si stanno mettendo le cose, mezzi e strutture saranno per lo più realizzati da “privati” e gestiti o da privati o da privati e governi insieme. Questo non è da intendere come una limitazione, anzi… è un fortissimo incentivo a migliorarsi e a velocizzare le attività. Del resto sulla Terra la quasi totalità delle miniere è a gestione privata… Lo stesso avverrà nello spazio.
Il punto 2 richiederebbe molto più tempo ma già tra il 2035 e il 2040 sarà possibile effettuare estrazioni minerarie da alcuni asteroidi, oltre che dalla Luna e da Marte. Tutto dipenderà da quanto efficiente saranno i nuovi sistemi di lancio, Starship di SpaceX in primis. Se verranno confermati i dati indicativi di 100-150 tonnellate in orbita bassa ad un costo di qualche decina di milioni di dollari, le aziende private che già ora stanno iniziando studi approfonditi sulla possibilità di estrarre minerali dallo spazio, si attiveranno per realizzare le loro prime astronavi-miniere orbitanti. Guardando i piani abbozzati è possibile ipotizzare che le prime astronavi di questo tipo richiederanno dai 10 ai 20 lanci di Starship. Al momento risulterebbe impensabile affrontare una sfida di questo tipo anche immaginando di utilizzare il Falcon Heavy (SpaceX) che può portare in orbita “solo” 63 tonnellate, ma con un volume di carico molto più piccolo, il che triplicherebbe il numero di lanci e moltiplicherebbe per 30 il costo complessivo del solo trasporto in orbita.
Per il punto 3 siamo già oltre il 2045, con qualche struttura orbitante, quasi certamente privata, in fase di assemblaggio da qualche parte oltre l’orbita terrestre. Le informazioni a mia disposizione mi indicano i punti di Lagrange L4 e L5 del sistema Terra-Luna per una serie di strutture orbitali stabili, realizzate da aziende private, per l’assemblaggio e la manutenzione delle astronavi dirette verso Marte e verso la Fascia degli Asteroidi (non necessariamente con equipaggio umano a bordo).
Questo è il punto fondamentale, a mio avviso, che determinerà il passaggio effettivo da una civiltà monoplanetaria come attualmente è la nostra, ad una civiltà multiplanetaria. Se vogliamo viaggiare nello spazio in modo efficiente, sicuro, veloce ed economico, è nello spazio che dobbiamo realizzare e assemblare le nostre astronavi. E dovremo farle di grandi dimensioni, per garantirci viaggi confortevoli e sicuri.
Con il punto 4 siamo già nella seconda metà degli anni ‘50. Lo sviluppo della propulsione spaziale elettronucleare permetterà viaggi Terra-Marte, con equipaggio umano, in meno di 1 mese. Un tempo di percorrenza 6 volte inferiore all’attuale e che scenderà ulteriormente nei decenni successivi, grazie allo sviluppo di propulsori al plasma sempre più potenti ed efficienti.
La propulsione chimica verrà utilizzata solo dalle “navette”, ovvero i velivoli spaziali che faranno la spola tra la superficie di un pianeta e la sua orbita operativa (ovvero dove possono operare le astronavi che non possono atterrare sui pianeti).
L’aspetto delle astronavi cambierà frequentemente. Al momento il progetto più avveniristico che abbiamo modo di analizzare è la Starship, considerata astronave in quanto progettata per arrivare su Marte. In realtà questa è una “navetta” o “navicella spaziale”. In futuro immagino un’astronave impegnata nei viaggi Terra-Marte come una sorta di “bisarca spaziale”, ovvero un lungo e robusto traliccio, che collega un modulo nucleare a prua con un modulo propulsivo a poppa, e sul traliccio, ancorate ognuna su un lato dello stesso, una serie di Starship o di “moduli cargo” (qualcosa simile agli attuali container, ma di dimensioni maggiori… magari fatti apposta per poter entrare nel vano di carico di una Starship cargo). Questo sistema permetterà di compiere viaggi da e verso Marte, trasportando in un solo viaggio l’equivalente di 4 o più astronavi. Il tutto con un sistema propulsivo ottimizzato solo per operare nello spazio, in totale autonomia, con o senza controllo umano. Una sorta di moderno “Galaxy Express”.
Con il punto 5 siamo ormai agli anni ‘70. Se esisteremo ancora e se l’uomo avrà varcato finalmente i confini della nostra “culla”, avremo a questo punto già sviluppato a sufficienza tutta la tecnologia necessaria a colonizzare attivamente il Sistema Solare interno (tra Venere e la Fascia degli Asteroidi). In orbita ci saranno una decina tra stazioni orbitanti scientifiche, turistiche e industriali. Vi sarà certamente uno “spazioporto”, ovvero una stazione spaziale utilizzata solo come scalo merci e passeggeri e vi saranno un paio di Hangar spaziali nei quali vengono assemblate le astronavi per Marte, per la Luna e per la Fascia degli Asteroidi, nonché le sonde spaziali automatiche che verranno inviate verso i confini del sistema solare ed oltre.
La realizzazione di tutte le strutture e le astronavi dovrà avvenire con risorse spaziali, estratte e lavorate direttamente nello spazio e questo permetterà a chi vive sulla Terra, di potersi dedicare alla produzione di cibo e alla cura, quella vera, della Natura.
Per il punto 6, beh… dovremmo iniziare sin da subito.
Molti sono convinti che l’essere umano non debba andare nello spazio perché nello spazio ci sono troppi pericoli, perché noi non siamo fatti per vivere in assenza di gravità e perché le radiazioni cosmiche e solari sono troppo pericolose per il nostro fragile corpo. Vero, non lo metto in dubbio, ma ogni problema è risolvibile, in un modo o nell’altro.
La gravità può essere riprodotta, come illustrato nel mitico film “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, uscito nelle sale cinematografiche italiane nel dicembre 1968.
Idea affascinante, che però presenta una serie di problemi risolvibili solo se il diametro esterno fosse sufficientemente grande. La Stazione V del film aveva un diametro di 300 metri e ruotava intorno al proprio asse in 60 secondi, ricreando in realtà una gravità simile a quella lunare. Per evitare i problemi fisiologici dovuti alla differenza di gravità artificiale tra la testa e i piedi e conseguenti problemi circolatori (il sangue fluirebbe più velocemente verso i piedi e più lentamente verso la testa), il diametro andrebbe aumentato ad oltre 1 kilometro, cosa che, ovviamente, sarebbe al momento impossibile fare con le risorse minerarie terrestri e i mezzi di trasporto attuali (una struttura simile richiederebbe diverse centinaia di voli della Starship).
In conclusione, penso seriamente che sia necessario sedersi intorno ad un grande tavolo e decidere se perseguire la “via” del depopolamento, per guadagnare qualche anno senza peraltro risolvere i problemi reali, oppure se scegliere la “via” delle stelle e aprire l’Umanità ad una infinità di possibilità evolutive che Dio solo sa cosa potranno regalarci. In altre parole dobbiamo decidere se continuare a fare i neonati nella nostra “culla”, o se imparare a diventare grandi.
Forza e coraggio: A noi la scelta!
Pubblicato su Orazero.org il 21 Febbraio 2022