SPACE DESTINATION
La razza umana, per vivere e prosperare, ha bisogno di 3 beni fondamentali: energia, risorse minerarie e spazio abitabile.
Senza questi 3 beni, non si ha alcun futuro.
Gli eventi, le crisi e i collassi, si susseguirebbero con una velocità sempre crescente e non ci sarebbe alcuna speranza di poterli controllare se non tramite depopolazione, controllo delle nascite e limitazione dei consumi.
Al momento la Razza Umana è composta da circa 7.6 miliardi di individui, distribuiti sulla superficie di un unico pianeta coperto per oltre il 70% da acqua. Di questi una buona metà vive nei paesi industrializzati, concentrati in città nelle quali la densità di abitanti per km2 è molto alta (con un ragguardevole record di oltre 50.000 abitanti al km2 per la città di Dacca, in Bangladesh). Statisticamente e storicamente, maggiore è la densità di abitanti in un dato luogo, maggiori saranno anche i problemi sociali, culturali, energetici e logistici di quel dato luogo.
Ovvio che tutto può essere affrontato e risolto, avendo tempo e risorse a disposizione. Meno facile è se i problemi vengono o venissero acuiti da una crisi energetica mondiale e conseguente riduzione nella disponibilità di petrolio, energia elettrica, cibo e risorse minerali per le attività industriali.
Una vera e propria bomba sociale, quindi, la cui esplosione finirebbe per sfociare in guerre civili e carestie.
Il crescente stile di vita medio, poi, non permetterebbe un facile e veloce “ricollocamento”.
Ritrovarsi improvvisamente senza energia elettrica e senza cibo, in una metropoli con diversi milioni di abitanti, significa dover decidere se restare e combattere ogni giorno per la propria sopravvivenza, oppure se avventurarsi in un viaggio migratorio potenzialmente infinito, la cui destinazione potrebbe trovarsi, al nostro arrivo, in condizioni peggiori rispetto a quelle del luogo dal quale siamo partiti.
Nel prossimo futuro (2022-2030) sappiamo che le prospettive relative alla disponibilità reale di petrolio sono tra il pessimo e il catastrofico. Alcuni esperti, nei loro forecast stagionali, prevedono una riduzione della quantità globale di petrolio variabile tra un 30 e il 60% circa, rispetto alla disponibilità complessiva del 2018, in un lasso di tempo compreso tra gli ottimistici 20 anni e i pessimistici 5 anni.
Logico che in un mondo e in una società basati su una elevata disponibilità di petrolio, la mancanza dell’oro nero potrebbe dar vita ad una sequenza incontrollabile di collassi sistemici, a partire dalle grandi industrie per finire al negozietto sotto casa. Questo si ripercuoterebbe sulla capacità dei cittadini di procurarsi i generi di prima necessità, ma anche di poter alimentare le proprie abitazioni. In una sola parola, di vivere!
Le risorse minerarie sono, per la nostra civiltà, un elemento fondamentale per poter anche solo mantenere l’attuale livello socio-tecnologico.
Fino ad oggi abbiamo estratto ed usato le risorse più economicamente abbordabili, arrivando a consumarne una percentuale significativamente molto elevata. Come per il petrolio, che di sicuro non finirà tra 20 anni ma sarà sempre più difficile procurarselo, per le risorse minerarie la difficoltà è doppia… in quanto, spesso e volentieri, senza petrolio diventa letteralmente impossibile procurarsi alcuni minerali.
Conseguentemente, il rischio di collasso sistemico della civiltà, a causa della difficoltà di reperire risorse minerali, diventerà ogni anno sempre più possibile.
Infine il problema forse più importante di tutti: quello energetico.
Siamo portati a pensare che per energia si intende energia elettrica. Ma non è solo la forma elettrica che ci interessa. La nostra civiltà, con le filiere industriali spropositatamente lunghe, è fortemente dipendente da tanti tipi diversi di energia. Da quella termica a quella elettrica, per nessuna di queste abbiamo soluzioni adeguate, sicure, economicamente ed ecologicamente sostenibili, per raggiungere una vera e propria autosufficienza. Ogni forma di energia, e relativa tecnologia per poterla sfruttare, accumulare, trasportare, ha un certo numero di limiti più o meno invalicabili. O se anche non fossero invalicabili, ci costringono ad un equilibrio precario continuo, tra benefici e costi, tra pro e contro, tra convenienza ed ulteriori problemi che il loro utilizzo potrebbe procurarci nel tempo.
Per risolvere in un solo colpo tutti questi problemi, sono convinto (e fortunatamente non solo io) che la soluzione ideale e definitiva, sia quella di colonizzare lo spazio.
L’alternativa sarebbe procedere con una riduzione della popolazione, che avrebbe il vantaggio immediato di diminuire la domanda di risorse ed di energia, ma questo solo per un tempo limitato. Contemporaneamente, però, porterebbe ad una riduzione del patrimonio genetico, con conseguenze catastrofiche per la salute delle future generazioni.
Colonizzare lo spazio, cosa che avremmo potuto e dovuto iniziare attivamente già 20-30 anni fa, ci permetterebbe di accedere ad una quantità semplicemente infinita di risorse minerarie con una purezza mai viste prima sul nostro pianeta.
L’abbondanza di Elio-3 presente sulla superficie della Luna, indispensabile per la produzione di energia elettrica con i futuri reattori a fusione nucleare, permetterà infine di rendere l’umanità finalmente e totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico, portando la razza umana in un futuro di abbondanza, prosperità e crescita scientifico-tecnologica.
Come ogni essere vivente, infatti, anche l’essere umano si sviluppa in un ambiente ricco di stimoli. E lo spazio extra-atmosferico è l’ambiente con il più alto numero di stimoli che si conosca.
Non è una questione di preferenze o di vantaggio economico. Qui bisogna decidere se provare a prosperare come forma di vita o se attendere pazientemente la nostra estinzione di massa. Perché se decidessimo di restarcene chiusi su questo pianeta, potremmo guadagnare qualche decennio o al massimo qualche secolo, imponendo politiche di bassa natalità o addirittura arrivando a ridurre drasticamente e forzatamente il genere umano, ma prima o poi i problemi dovuti alla carenza delle risorse tornerà prepotentemente a farsi avanti. E quando ne avremo troppo poche, non avremo più alcuna possibilità di colonizzare lo spazio.
Tutto questo, ovviamente, senza parlare del pericolo costituito dai numerosi oggetti cosmici quali meteoriti e comete che costantemente minacciano di schiantarsi sul nostro pianeta. Prima o poi qualcuno di questi corpi aggiusterà la mira. E per noi potrebbe essere una catastrofe! Ma come ben sapete non sono solo proiettili pericolosi, sono miniere vicine da sfruttare.
Quali sono gli obiettivi astronautici da perseguire e in quanto tempo è possibile perseguirli?
La SpaceX di Elon Musk ci sta dimostrando che è possibile procedere con una velocità molto superiore a quella cui eravamo abituati in ambito astronautico.
Fino a 10-12 anni fa, pensare di lanciare un razzo nello spazio e farlo tornare a terra indenne, per poterlo poi rifornire e riutilizzare decine di volte, era pressoché impossibile. Anni prima ci avevano provato gli ingegneri della McDonnell Douglas con il prototipo denominato DC-X, sviluppato tra il 1993 e il 1995. Purtroppo, vuoi per problemi strutturali dovuti ai materiali e alle tecniche di fabricazione, vuoi per l’elettronica di bordo ancora troppo poco potente, i risultati furono scarsi e il progetto venne abbandonato.
20 anni dopo la SpaceX è però riuscita nell’impresa ed ora, a distanza di 10 anni da quel fatidico 4 giugno 2010, è stata lanciata e fatta atterrare con successo, la versione #15 del prototipo di Starship, una navicella progettata per le future missioni sulla Luna e su Marte.
La Starship è un bestione di 48 metri, portato in orbita da un booster alto 72 metri e largo 9, alimentati entrambi a metano ed ossigeno liquidi. La peculiarità è che entrambi sono riutilizzabili infinite volte e rientrano a terra dopo il loro volo; il primo stadio (denominato Super Heavy) rientrerà con un profilo di volo simile a quello eseguito dai Falcon 9; il secondo stadio (la Starship), con una manovra tutta particolare e molto spettacolare, chiamata Belly-Flop, che permetterà alla navicella di planare e rallentare di pancia, per poi rimettersi in verticale a poche decine di metri dal suolo e frenare, sfruttando la potente spinta dei propulsori, per posarsi delicatamente sulla piazzola di atterraggio.
Abbiamo quindi capacità tecnologiche ed elettronico-informatiche tali da permetterci di raggiungere agevolmente lo spazio, con costi al kg lanciato molto inferiori rispetto al recente passato e prospettive di riduzione ulteriore dei costi, mantenendo, se non addirittura aumentando, sia la sicurezza dei lanci che dei voli spaziali.
Gli obiettivi in ambito spaziale, sui quali il genere umano deve assolutamente puntare, sono essenzialmente 2, con un terzo obiettivo come conseguenza dei primi due: autosufficienza energetica e sfruttamento delle risorse minerarie presenti nello spazio.
Il primo e più importante è sfruttare la Luna per la sua immensa riserva di elio-3. Ovvero riuscire a mettere le mani sull’isotopo elio-3 da utilizzare per le future centrali a fusione nucleare, ottenendo così l’autosufficienza energetica.
Il secondo, non meno importante ma inevitabilmente cronologicamente successivo al primo, è lo sfruttamento delle risorse minerarie presenti sulla Luna, su Marte e negli asteroidi NEO (Near Earth Object) presenti tra le orbite dei pianeti Terra e Marte. Per poi puntare, ovviamente, a raggiungere la fascia degli asteroidi e oltre.
La conseguenza nel raggiungimento di questi due obiettivi, è l’aumento dello spazio abitabile oltre ogni limite immaginabile, pur consapevoli che l’essere umano ha bisogno della forza di gravità e di un’atmosfera respirabile per poter vivere. Nello spazio l’uomo dovrà imparare a vivere in strutture artificiali, in condizioni al momento anomale per la nostra cultura, ma potrà riuscirvi, ne sono sicuro, e potrà farlo proprio grazie all’autosufficienza energetica e mineraria che solo la colonizzazione dello spazio potrà garantirci.
Nel 1969 la storia astronautica ha fatto registrare “un piccolo passo per un uomo, ma un balzo enorme per l’umanità” con lo sbarco dei primi uomini sulla superficie polverosa della Luna. Le missioni spaziali del programma Apollo vennero effettuate con mezzi molto poco confortevoli e sicuri, capaci di ospitare al massimo 3 persone in un piccolo ambiente, con un modulo di allunaggio che veniva agganciato dalla punta, e con un gigantesco razzo che li sparava nello spazio.
Oggi quel sistema è da considerarsi obsoleto, anche se a dire il vero alcune delle prime missioni Artemis – il programma internazionale con il quale si intende tornare sulla Luna – utilizzeranno qualcosa di molto simile per raggiungere la Luna.
Il futuro, stando ai piani pubblicati dalla SpaceX, è invece quello di partire dalla superficie terrestre a bordo di una Starship, arrivare in orbita, rifornirsi di carburante da una seconda Starship appositamente predisposta, e raggiungere la superficie lunare. Da lì, a missione ultimata, ripartire per tornare in orbita, dove una Starship “tradizionale”, diversa da quella lunare (detta Moonship), riporterebbe l’equipaggio a casa.
Questo schema ha i suoi vantaggi e i suoi perché, ma in futuro bisognerà necessariamente eseguire degli step ben precisi, senza lasciare nulla al caso, altrimenti si rischia soltanto di spendere tempo prezioso e risorse energetiche e minerarie, per poi assistere a fallimenti e perdite di equipaggi. Certo, tra 7.6 miliardi di persone si troverà sempre qualcuno disposto a rischiare la vita in nome del progresso scientifico o per provare a salvare la razza umana, ma mi piace pensare che non siamo ancora arrivati a quei livelli di disperazione. Piuttosto vorrei evitare che ci si arrivasse!
Schematicamente, una missione che prevede la partenza di una navicella dalla superficie di un pianeta A per arrivare su un pianeta B e tornare indietro, è suddivisibile in 6 fasi distinte e successive:
1) decollo dal pianeta A per raggiungere l’orbita
2) viaggio tra l’orbita del pianeta A e l’orbita del pianeta B
3) atterraggio sul pianeta B
4) decollo dal pianeta B per raggiungere l’orbita
5) viaggio tra l’orbita del pianeta B e l’orbita del pianeta A
6) atterraggio sul pianeta A
Per ognuna di queste fasi sono richieste specifiche differenti per la navicella. Nelle fasi 1 e 4, ad esempio, meno peso bisogna portarsi dietro e meglio è. Nelle fasi 2 e 5 è richiesta una velocità di crociera quanto più elevata possibile (poi vedremo come evolverà nel tempo il viaggio spaziale), ma anche e forse soprattutto, una schermatura dalle radiazioni cosmiche e solari per il carico e i passeggeri. Nelle fasi 3 e 6 sono richieste capacità di frenata e atterraggio con precisione e sicurezza tali da garantire la sopravvivenza dell’equipaggio e/o del carico.
Pensare di effettuare tutte queste fasi con la medesima navicella, non è ne pratico, ne fattibile, anche se si sta lavorando in tal senso.
La complessità strutturale della navicella al momento del lancio (fase 1), considerando che deve portarsi dietro il carburante per tutte le fasi successive, è tale da ridurre a (quasi) zero le possibilità pratiche di successo. Nelle missioni Apollo veniva utilizzata una piccola capsula per ospitare 3 persone, con un modulo di servizio ed uno lunare formato da 2 parti. Arrivati in orbita intorno alla Luna il LEM si sganciava dalla capsula Apollo e atterrava sulla superficie della Luna. Al momento del decollo, gran parte del mezzo restava sulla Luna e in orbita ci tornava solo un piccolo modulo pressurizzato che si agganciava all’Apollo rimasta ad orbitare intorno alla Luna con il terzo astronauta. Giunti nuovamente nei pressi del nostro pianeta, la capsula si sganciava e rientrava a terra ammarando con dei paracadute. Durante l’intera missione venivano abbandonati quasi tutti i pezzi “non indispensabili” e questo permise di effettuare con successo diverse missioni.
Oggi la SpaceX prevede un profilo di missione diverso, con la Starship che parte e atterra intera, ma rifornita una o più volte nello spazio mediante una seconda Starship “cisterna”, similmente a come avviene con gli aerei militari quando devono fare lunghe missioni di volo e vengono riforniti da un aereo cisterna in volo.
Questo tipo di approccio è fattibile e sicuramente utile nelle prime fasi della nuova corsa allo spazio. Ma quando le missioni inizieranno a diventare a cadenza mensile, bisognerà pensare a qualcosa di diverso, di più efficiente, di più performante, di più economico e sicuro. E non pensate che i viaggi Terra-Luna si avranno con cadenza mensile tra chissà quanti secoli… bastano 20 anni. Gli stessi 20 anni che ci separano dal momento in cui la SpaceX venne fondata nel 2002.
Per arrivare ad una cadenza mensile dei viaggi sulla Luna, bisognerà predisporre un “perché”. Ovvero… bisognerà stabilire un avamposto sulla superficie lunare, o anche più di uno, nel quale gli astronauti potranno riposare, vivere e lavorare. Verranno estratte risorse minerarie dalla superficie e si dovrà trovare un modo per lavorarle, sulla Luna o nello spazio, o riportarle sulla Terra.
Riportare le risorse minerarie sul nostro pianeta è l’ultimo dei problemi. Dalla superficie lunare è possibile sparare piccoli contenitori sigillati, mediante un cannone elettromagnetico, che come piccole navette automatiche dotate di limitate capacità di manovre orbitali, possono raggiungere astronavi e stazioni orbitanti o, magari rientrare a Terra con dei normalissimi paracadute.
Più difficile è invece il discorso relativo alle missioni con equipaggio. La presenza di esseri umani, dei complessi sistemi di sicurezza e supporto vitale, i pesi da trasportare in carburante. ossigeno e aria per la pressurizzazione degli ambienti interni, occupano una buona porzione dell’intera massa della navicella che va accelerata. E questo, oltre a richiedere enormi quantità di energia, deve rispettare dei limiti di accelerazione ben precisi, molto inferiori a quanto sopportabile da un carico minerario.
Tornando alle fasi elencate in precedenza, quindi, possiamo affermare che con la Starship si dovrebbe raggiungere la capacità economico-tecnologica per trasportare fino a 100 tonnellate in orbita bassa.
Qui bisognerà provvedere ad un refilling (rifornimento) in un’apposita orbita di parcheggio. Ad operazione conclusa, la navetta sarà pronta per affrontare il viaggio verso il pianeta B.
Nel caso della Luna, andrà costruito uno “spazioporto”, ovvero una piccola stazione spaziale in orbita nei pressi della Luna, dotata di moduli di servizio e abitativi, nel quale gli equipaggi potrebbero effettuare operazioni tecniche, scientifiche, riposare e/o semplicemente spostarsi in totale sicurezza da una Starship in arrivo dalla Terra ed una MoonShip pronta a raggiungere la superficie del nostro satellite naturale. O anche l’esatto opposto.
Dal mio punto di vista, il punto ideale per uno spazioporto di questo tipo, è il punto di Lagrange L1 del sistema Terra-Luna. Si tratta di un punto posto sulla direttrice Terra-Luna, ad una certa distanza dalla Luna, che grazie alla forza di gravità di entrambi i corpi celesti, risulta essere sufficientemente stabile, richiedendo pochissimo carburante per il mantenimento nel tempo della posizione relativa con Terra e Luna.
Tale spazioporto garantirebbe un valido punto di partenza anche per le future missioni verso Marte. E nulla vieterebbe di realizzarne un secondo, nella posizione di Lagrange L2 (stessa direttrice ma oltre l’orbita lunare), da utilizzare come stazione di servizio, magari per rifornimenti, oppure come backup sempre pronto in caso di necessità.
Certo, tutto bello e tutto giusto, almeno per quanto riguarda una missione tipo tra la Terra e la Luna. Ma se fosse una missione verso Marte?
Quanto conveniente sarà rifornirsi in orbita per arrivare su Marte con una Starship? Ed una volta completata la parte “marziana” della missione, come fare per tornare sulla Terra?
Certo, la SpaceX pensa di rifornire la Starship con metano ed ossigeno prodotti direttamente su Marte (avrebbero i 2 anni circa di tempo dettati dalla periodicità della finestra di lancio utile).
Voglio dire, le capacità di carico della Starship sono di 100 tonnellate in orbita terrestre bassa, con carburante sufficiente per il decollo, (poche) operazioni in orbita e atterraggio. Ma in un futuro viaggio tra Terra e Marte, potrebbe non essere così conveniente usare la stessa astronave.
Ho sempre ritenuto più conveniente ed utile sviluppare i mezzi (capsule, navette, navicelle, astronavi, ecc…) per le varie fasi, in modo da ottimizzarne le prestazioni e le capacità di carico.
Nello spazio non serve l’aerodinamica, pertanto le astronavi potrebbero somigliare molto più facilmente a qualcosa tipo l’Eagle di Spazio: 1999 piuttosto che alla Starship di SpaceX, pensata per decollare e atterrare su un pianeta provvisto di atmosfera. Già la versione lunare, la Moonship, non avrebbe le ali anteriori e posteriori. Oppure, ancora meglio, somigliare alla fantastica Discovery del colossal 2001: Odissena nello Spazio, di Stanley Kubrick.
Un’astronave, ovvero un mezzo di trasporto spaziale molto più grande di una “semplice” navicella, la si dovrebbe assemblare direttamente nello spazio, magari in un’apposita stazione di assemblaggio posta nel punto di Lagrange L5 del sistema Terra-Luna.
Il viaggio Terra-Marte può richiedere un minimo di 3 mesi ed un massimo che può essere di 6-8 mesi, nel caso vi fosse un equipaggio umano a bordo, oppure fino a 2 anni circa, nel caso di astronavi cargo completamente automatiche.
In questa fase dell’esplorazione e colonizzazione dello spazio, come abbiamo detto in precedenza, non bisogna lasciare nulla al caso. E se nelle missioni sulla Luna si può pensare, ipoteticamente, ad una eventuale missione di emergenza, nelle missioni verso Marte questo diventa impossibile se non preventivamente organizzato. Ma come?
Come abbiamo visto, prima di tutto va assemblato uno spazioporto nel punto di Lagrange L1 ( L1em) del sistema Terra-Luna. Poi va realizzata una stazione di assemblaggio nel punto di Lagrange L5 (L5em) del sistema Terra-Luna. Questo punto è uno dei 2 punti di Lagrange stabili (l’altro è L4) posti lungo l’orbita lunare. Una volta completato l’assemblaggio di tale stazione, verrebbe realizzato uno spazioporto, gemello di quello assembato in “L1em”, per poi procedere a spostarlo, con un viaggio di 2 anni e con 2 starship già agganciate e rifornite, fino alla sua posizione finale in orbita nei pressi di Marte.
A questo punto, una volta liberata la stazione di assemblaggio “L5em” dallo spazioporto destinato a Marte, si procederebbe ad assemblare un’astronave, magari dotata di un reattore nucleare come fonte di energia elettrica e termica, da utilizzare esclusivamente per i viaggi Terra-Marte e Marte-Terra, ovvero tra i 2 spazioporti sopra citati.
Durante il lungo viaggio si avrebbe maggiore velocità, maggiore capacità di carico (2 starship più eventuali altri moduli cargo lanciati con i diversi razzi a disposizione), maggiore sicurezza (scudi termici e anti-radiazioni più efficaci), maggiore autonomia di aria/ossigeno, maggiore volume abitabile.
In più, trasportando 2 Starship con un solo sistema propulsivo, magari del tipo a ioni, si avrebbe la garanzia di avere una possibilità in più di poter completare la futura missione su Marte in tutta sicurezza.
Ovviamente, in una fase successiva, non sarebbe più necessario trasportare le Starship, che verrebbero usate solo nelle fasi 1 e 4 della missione (decollo dal pianeta e raggiungimento dell’orbita), in quanto si andrebbero ad utilizzare direttamente dei moduli cargo e abitativi agganciati alle grandi astronavi, dotate solo di propulsori ottimi per funzionare nel vuoto, che coprirebbero periodicamente (ogni 2 anni circa) la rotta Terra-Marte e Marte-Terra.
In questo contesto va ricordato che sia lo spazioporto L1em che la stazione di assemblaggio L5em, sono raggiungibili dalle Starship partite dalla superficie del nostro pianeta, previo rifornimento in orbita terrestre bassa. Mentre per far arrivare nei pressi di queste strutture dei moduli cargo, è sufficiente, ad esempio, un piccolo trasportatore automatizzato per i carichi da 100 tonnellate delle Starship, ovvero una sorta di mini-navetta robotizzata, rifornita in orbita che faccia la spola tra l’orbita terrestre bassa e l’orbita lunare (spazioporto e/o stazione di assemblaggio).
Le astronavi, veicoli spaziali che operano nello spazio senza atterrare sui pianeti, dovranno avere dimensioni adeguate e volumi abitabili interni proporzionati al numero di componenti dell’equipaggio (o di passeggeri trasportati) e alla durata della missione.
In un viaggio di 3 giorni tra la Terra e la Luna, un ambiente abitabile con volumetria a persona di 30-40 metri3, è sufficiente, purché confortevole, per la quasi totalità delle missioni. In un viaggio tra la Terra e Marte, della durata non inferiore ai 3-4 mesi, tale volumetria andrebbe almeno raddoppiata.
Esperimenti in orbita e sulla Terra, in condizioni di totale isolamento e con soggetti scelti, preparati e addestrati, sottoposti allo stress da isolamento – nello spazio non è che puoi uscire e farti 4 passi nel parco vicino casa -, una volumetria maggiore degli ambienti abitabili, con zone comuni spaziose e ambienti privati di almeno 70 metri3 a persona, possono migliorare notevolmente l’adattabilità e lo stato psicofisico dei membri dell’equipaggio, garantendo un netto incremento delle probabilità di riuscita dell’intera missione. Questa caratteristica, unita ad un design ricercato degli ambienti interni, dovrà essere una regola fondamentale nella progettazione e realizzazione delle astronavi. Anche in questo caso, nulla andrà lasciata al caso. Ogni dettaglio potrà fare la differenza, dall’ergonomia degli ambienti ai materiali, dalla facilità di montaggio, smontaggio, pulizia e manutenzione, alla luminosità degli interni, ogni cosa potrà garantire un miglioramento della vita di bordo, evitando eventuali disturbi psicofisici, che in ambienti ristretti e sempre a contatto gli uni con gli altri, potrebbero sfociare in comportamenti aggressivi e pericolosi, tanto per i membri dell’equipaggio, che per l’intera missione.
È per tale motivo che una volta realizzati gli spazioporti e avviata l’industria spaziale, è necessario predisporre apposite astronavi su rotte interplanetarie standardizzate.
Marte è raggiungibile con maggior comodità solo quando la distanza rispetto al pianeta Terra è minore, ovvero 56 milioni di km circa. E questo, per il gioco dei periodi orbitali differenti, avviene periodicamente ogni circa 2 anni. Significa che una missione in partenza dalla Terra nel 2022, ad esempio, farà ritorno nel 2024. Considerando 6 mesi per il viaggio di andata e 6 mesi per quello di ritorno, la permanenza effettiva dell’equipaggio sul pianeta rosso, durerebbe circa 1 anno.
Sarà sufficiente, questo lasso di tempo, a mettere in funzione le attrezzature che dovranno produrre il carburante per il viaggio di ritorno della Starship? Forse si… forse no. Indipendentemente da questo, bisognerà prevedere strategie apposite per evitare eventuali problemi che possano compromettere la riuscita della missione e la vita dell’equipaggio, oppure predisporre, in orbita intorno a Marte, eventuali astronavi utili per il viaggio di ritorno… magari inviate sul posto con rotte a basso consumo di energia (2 anni circa di viaggio).
C’è una questione, che ritengo fondamentale per il futuro dell’astronautica e dell’Umanità… bisogna uscire dalla logica, “preistorica”, della produzione di tutto sul pianeta Terra.
Una volta stabilito un avamposto scientifico-minerario sulla superficie lunare, entro qualche anno da quel momento, raggiungeremo (si spera) la capacità tecnologica di produrre grandi quantità di energia, sia nello spazio, sia sul nostro pianeta. Non è impossibile immaginare, arrivati a quel punto, di costruire una vera e propria colonia orbitante, magari da assemblare nella stazione di assemblaggio “L5em” e di spostarla successivamente nel punto di Lagrange L5 del sistema Sole-Terra. Una colonia modulare, capace di ospitare centinaia di persone, dotata di ambienti pressurizzati e schermati, magazzini, laboratori, ponti di attracco ed osservatori, sia ottici che elettronici, per l’astronomia e lo studio e monitoraggio della Terra, del Sole e degli asteroidi NEO.
Questo permetterà di sviluppare tecnologie industriali direttamente nello spazio, ed arrivare a realizzare materiali grezzi e raffinati, in totale assenza di gravità. Perché questo? Perché è stato scoperto che un materiale, come ad esempio il ferro, se venisse realizzato in totale assenza di gravità, avrebbe proprietà e caratteristiche chimico-fisiche molto superiori a quelle del corrispettivo materiale realizzato sul nostro pianeta, dove c’è la gravità di 1g e non possiamo eliminarla.
Significa, in altre parole, che sviluppando le industrie in orbita, avremo la possibilità di realizzare strutture complesse, come stazioni spaziali e astronavi, senza doverci portare il pesante materiale dal pianeta Terra, usando come fonte dei minerali, i numerosi asteroidi NEO (Near Earth Object) che orbitano nei pressi del nostro pianeta, alcuni dei quali potrebbero essere per noi una seria minaccia in un futuro più o meno lontano. Miniere, nel vero senso della parola, da sfruttare in tutto e per tutto, gratis… se non consideriamo il costo iniziale necessario per raggiungerle e metterle in sicurezza.
Certo… serviranno come minimo 10 anni per sviluppare e affinare le tecniche per un rendez-vous di successo con mezzi e sistemi robotizzati. Ma una volta portato a termine anche questo importante balzo, per l’umanità si aprirebbero seriamente le frontiere dello spazio interplanetario, con la possibilità concreta non solo di raggiungere e colonizzare Marte, ma anche la fascia degli asteroidi e i pianeti esterni, con relativi satelliti e asteroidi.
Ma come realizzare una colonia orbitante?
La prima immagine che ci viene in mente è quasi certamente la stazione spaziale a forma di doppia ciambella, che si vede nel film 2001: Odissea nello Spazio.
Tale struttura, se messa in rotazione intorno al proprio asse, permette di ricreare una sufficiente forza di gravità che porterebbe gli occupanti a mantenersi con i piedi poggiati contro il pavimento, proprio come avviene con la gravità terrestre.
Il problema di una struttura simile è che la gravità artificiale diminuisce al diminuire della distanza rispetto all’asse di rotazione (centro della ciambella). Pertanto, se il diametro esterno risultasse troppo piccolo, si avrebbero gravi conseguenze alla circolazione dei liquidi nel corpo degli occupanti, con il sangue che fluirebbe solo verso i piedi e non in tutto il corpo. Per ovviare a questo problema, andrebbe realizzata una struttura sufficientemente grande da garantire una differenza estremamente contenuta della gravità artificiale, al variare della distanza rispetto al centro.
In un recente film di fantascienza, decisamente molto ben fatto, ad un certo punto si è verificato un evento potenzialmente mortale per gli esseri umani a bordo: le tempeste solari.
Questo è un problema quasi totalmente assente nella stazione spaziale internazionale, essendo quest’ultima orbitante a circa 400 km di quota, all’interno del campo magnetico terrestre e protetta dagli strati più esterni dell’atmosfera. All’esterno del nostro pianeta e nei pressi della Luna, invece, eventuali tempeste solari ed espulsioni di massa coronale (CME), diverrebbero eventi catastrofici per tutto ciò che è elettronico o vivente. Per non parlare dei pericolosissimi Raggi Cosmici proveniente dallo spazio profondo… che sarebbero mortali a prescindere dalla loro quantità nell’unità di tempo. Schermarsi da tali radiazioni non è impossibile, ma diventa oltremodo difficoltoso nel caso di stazioni spaziali e colonie orbitanti, ma anche solo di astronavi, soprattutto se di grandi dimensioni.
Nei progetti spaziali in fase di sviluppo, la soluzione più semplice che sia stata escogitata è quella di attrezzare dei piccoli moduli schermati, all’interno dei quali chiudersi per quelle decine di minuti o al massimo ore, necessarie al passaggio della tempesta o della CME. Non la soluzione più comoda, ovvio, ma almeno sufficiente a garantirsi la sopravvivenza.
Certo, gli effetti cinematografici di una tempesta solare sono stati notevolmente amplificati, ma ritrovarsi con il DNA completamente azzerato e con ustioni da radiazioni in tutto il corpo e solo qualche ora ancora di vita, non è sicuramente una cosa piacevole.
Bisognerà sviluppare materiali di schermatura performanti, magari con più di una funzione, e possibilmente rigenerabili senza troppe difficoltà. A tal proposito è stato da più parti proposto l’uso di un gel a base acquosa, o addirittura di acqua liquida, da inserire in una intercapedine di appena 10 cm, intorno a tutta la struttura. Questo strato garantirebbe una protezione sufficiente dalle radiazioni e permetterebbe, in caso di perforazione dello scafo esterno ad opera di un micrometeorite, di individuare velocemente e facilmente l’esatto punto da riparare. In più diventerebbe una importante riserva di acqua liquida, quindi di idrogeno ed ossigeno, oltre che funzionare da strato termoregolatore passivo. Nello spazio, infatti, la differenza di temperatura tra le zone illuminate dal sole e quelle poste in ombra, può essere anche di oltre 200°C e questo significa che le strutture e i materiali sono continuamente sottoposti a sforzi e deformazioni assurde. L’interno della struttura, se non opportunamente climatizzato, passerebbe dall’essere un forno crematorio ad una cella frigorifera, decine di volte al giorno. Con buona probabilità di beccarsi un serio raffreddore… che in assenza di gravità sarebbe tra le cose più devastanti che ci possano essere in termini di problemi interni. In fatto di schermatura dalle radiazioni, ovviamente, un altro dei tanti problemi – tutti comunque risolvibili – è quello legato alle eventuali superfici trasparenti.
Sulla Stazione Spaziale Internazionale vi è una splendida cupoletta, made in Italy, dalla quale è possibile ammirare la Terra in tutto il suo splendore, dotata di 7 finestrin dotati di coperchi chiudibili manualmente dall’interno. In futuro, a bordo delle stazioni spaziali, colonie orbitanti e astronavi, è più probabile che vi siano dei monitor ad altissima definizione collegati ad un sistema di telecamere esterne. Questo permetterebbe di far fruire sugli stessi monitor, oltre alle immagini esterne, anche dati e contenuti multimediali ed eviterebbe problemi di protezione contro le radiazioni. Certo, degli enormi finestroni panoramici farebbero un effetto ben diverso… ma ricordiamoci che bisognerà trovare il giusto compromesso… almeno finché le tecnologie e i materiali non garantiranno assoluta sicurezza e funzionalità.
Facendo una stima delle tempistiche, se tutto dovesse filare liscio come l’olio e con la velocità cui ci stanno abituando gli ingegneri della SpaceX, l’assemblaggio dello spazioporto potrebbe avvenire già entro la fine dell’attuale decennio, così come la costruzione del primo avamposto lunare potrebbe avvenire non più tardi dell’inizio del prossimo decennio. Entro il decennio 2031-2040 potrebbe vedere la luce la stazione di assemblaggio “L5em” e nel decennio successivo (2041-2050) si potrebbe avere la prima porzione della Colonia Spaziale “L5se”. Contemporaneamente, avremmo anche la prima parte, funzionante, dello spazioporto di Marte, “L5md”, nella posizione di Lagrange L5 del sistema Marte-Deimos, il satellite più esterno del pianeta rosso.
Con l’avvio delle attività industriali nella colonia spaziale terrestre “L5se”, avremo la possibilità di duplicarla in L4 e attivare una serie rotte automatizzate tra le varie stazioni e spazioporti di Terra, Luna e Marte.
Nel giro di qualche altro decennio, sempre se avremo il coraggio di fare il primo passo verso le stelle, ci sarà lavoro per decine di migliaia di persone in orbita e sulla Terra, dove verrebbero preparate, con le risorse minerarie provenienti dallo spazio, le strutture e gli arredi interni delle varie installazioni poste in orbita, sulla Luna e su Marte.
Migliaia di persone verrebbero impiegate, stabilmente, per il controllo remoto dei robot minatori, di quelli usati per la lavorazione dei minerali e la loro lavorazione in orbita, e per l’assemblaggio delle strutture, delle stazioni spaziali, degli avamposti, delle astronavi e delle colonie, sia orbitanti che planetarie.
Al momento le astronavi vengono assemblate sulla Terra, rifornite e spedite nello spazio. In futuro queste verranno assemblate e rifornite nello spazio ed invitate sulla Terra, con il loro prezioso carico di materiali supertecnologici ed Elio-3.
Un futuro che vedrebbe una rapida evoluzione del genere umano e lo traghetterebbe in un futuro radioso, sicuramente molto lontano dal baratro nel quale minaccia di precipitare a causa della limitata disponibilità di risorse ed energia.
Tutto sta nel rifare quel “piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. Le distanze e i costi, a quel punto, diventeranno il problema minore.
Siamo fin troppo abituati a pensare in termini puramente economici, ovvero con i principi della gestione delle risorse scarse. In futuro bisognerà cambiare questo paradigma e abituarsi ad una gestione delle risorse infinite. I limiti, a quel punto, saranno dettati essenzialmente dalla volontà di raggiungere un obiettivo, e dal tempo impiegato per raggiungerlo. Meno tempo ci vorrà per andare su Marte o per raggiungere la Fascia degli Asteroidi, maggiori saranno gli interessi nel farlo.
Al momento il profilo di volo di un viaggio Terra-Marte prevede una prima fase di accelerazione, una fase intermedia a velocità costante, una fase finale di decelerazione. Essendo la velocità massima dipendente dalle caratteristiche dell’astronave (massa, tipologia dei motori, quantità di carburante a disposizione, ecc…), per effettuare il viaggio Terra-Marte, come abbiamo visto in precedenza, ci possono volere dai 3 mesi ai 2 anni circa di tempo. Avendoci a disposizione sistemi propulsivi più efficienti, si potrebbe ipotizzare di raggiungere Marte in un tempo inferiore.
A dire la verità un’astronave con equipaggio umano potrebbe impiegarci anche solo 20 giorni per raggiungere il pianeta rosso, ma la quantità di carburante necessaria per accelerare e decelerare l’astronave è mostruosamente e sproporzionatamente elevata, tanto che il costo diverrebbe proibitivo.
In futuro, quando avremo la capacità di produrre grandi quantità di energia, verranno usati dei propulsivi ionici, capaci di generare una spinta piccola ma costante nel tempo. Questo permetterà alle astronavi di accelerare fino a circa la metà dell’intero percorso, per poi invertire la spinta e decelerare fino all’immissione nell’orbita del pianeta di destinazione. E non sarà più necessario attendere la finestra di lancio che si apre ogni 2 anni per la rotta Terra-Marte, perché la differenza, in termini puramente temporali, tra un viaggio effettuato tra i pianeti Terra e Marte alla loro minima distanza (55 milioni di km) ed uno alla massima distanza (401 milioni di km) non sarà così elevata, come sarebbe oggi, da giustificare l’attesa di 2 anni!
In più, con un sistema propulsivo che permetta viaggi ad accelerazione costante, si avrebbe il vantaggio di poter ricreare una gravità artificiale, magari variabile lungo l’intero percorso, in modo da adattarsi gradualmente alla gravità presente sul pianeta di destinazione.
Infine, cosa non certo trascurabile, più aumentano le distanze da percorrere, maggiori sarebbero i viaggi di un’astronave che si muova ad accelerazione costante. Marte verrebbe raggiungo in meno di una settimana, così come Cerere (Fascia degli Asteroidi), Giove in circa 10 giorni e così via. Ovviamente servirebbero una quantità al momento impensabile di energia, oltre che un’astronave capace di resistere al continuo bombardamento di micrometeoriti e polvere interplanetaria e interstellare.
Tutto questo sarà il futuro, forse già entro la fine di questo secolo.
Ma al momento dobbiamo focalizzarci sulla necessità, o meno, di effettuare un grande balzo per l’umanità! Sta a noi decidere!
Pubblicato su Orazero.org il 14 Giugno 2021